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La Quercia dei genitori consapevoli

"Trasformare la Fatica in Forza: La Genitorialità Consapevole sotto la Pioggia"

 

 

Cara mamma, caro papà,

 

Ti sei mai chiesto come sia possibile affrontare ogni giorno con più forza e leggerezza, pur nella complessità che comporta avere un figlio con disabilità o autismo? 

Questo articolo nasce per te, che magari ogni mattina ti svegli già con il fiato corto, sentendoti in affanno ancora prima di iniziare la giornata. Perché — diciamocelo — quando si è genitori di un figlio con disabilità o neuro divergente, tutto diventa più intenso. Io dico sempre: “È come se qualcuno avesse alzato il volume della vita al massimo”.

 

Come possiamo trasformare stress, fatica e stanchezza in forze alleate nella genitorialità?

 

Essere genitori è già di per sé una sfida impegnativa. Significa camminare ogni giorno su un sentiero costellato di responsabilità, dubbi, scelte difficili e decisioni importanti. Significa imparare a dosare la tenerezza con la fermezza, a offrire sicurezza senza controllare, a lasciar andare senza abbandonare.

Ma quando si è genitori di figli con disabilità o autismo, questo sentiero si fa ancora più ripido. Il "volume" delle emozioni, delle sfide quotidiane e degli eventi della vita si alza drasticamente. Ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo acquista un peso specifico più intenso. Ogni mattina ci si sveglia con la consapevolezza che servirà più energia, più presenza, più ascolto. Anche nei giorni in cui si è già esausti.

La società, con le sue aspettative e i suoi ritmi, spesso non aiuta. Non sempre c'è spazio per la lentezza, per il tempo lungo dell’apprendimento, per le piccole conquiste che per altri sembrano scontate. E in questo scenario il genitore rischia di sentirsi solo, sopraffatto, talvolta invisibile. Le relazioni si complicano, la burocrazia pesa, e il tempo per sé stessi sembra evaporare.

 

Ma c'è un'altra verità possibile. Una verità che parte da una nuova domanda: e se stress, fatica e stanchezza non fossero solo ostacoli, ma anche segnali? E se dietro ogni momento di difficoltà si nascondesse un'opportunità di trasformazione? 

 

Non per negare la durezza del cammino, ma per imparare a riconoscerne anche la forza generativa.

 

Stress, stanchezza e fatica — così presenti nella vita dei genitori di figli con disabilità o autismo— possono diventare strumenti. Non nemici da combattere, ma alleati da ascoltare. Quando accogliamo questi stati interiori senza giudizio, iniziamo a vederli come mappe. Ci indicano dove stiamo forzando, dove stiamo trattenendo, dove stiamo dimenticando noi stessi.

 

Diventano allora un invito potente: a conoscerci più a fondo, a rallentare quando serve, a chiedere aiuto senza sentirci in difetto. Ci richiamano a una forma di presenza più autentica, più consapevole. Ci spingono a smettere di cercare il controllo su tutto, per aprirci invece all’ascolto, alla relazione vera, alla possibilità di riscrivere ogni giorno — anche a piccoli passi — il nostro modo di essere genitori e persone.

 

In questo senso, il percorso della genitorialità con un figlio disabile o autistico, pur nella sua complessità, può diventare un'occasione profonda di crescita personale. Una via che ci costringe — o forse ci invita — a guardarci dentro con più sincerità, ad abbattere maschere, a scoprire una forza che non pensavamo di avere. Non una forza fatta solo di resistenza, ma anche di flessibilità, di empatia, di amore radicale.

 

E in questa verità nuova, possiamo imparare che non è necessario arrivare ovunque, che non siamo tenuti a "fare tutto", che ogni passo, anche quello più incerto, ha valore. Che la nostra presenza, anche quando imperfetta, è già dono. Che non siamo soli. E che anche la fatica, se riconosciuta e accolta, può diventare il primo passo verso una nuova libertà interiore.

 

Cosa significa davvero essere stanchi?

 

La stanchezza, in questo contesto, non è solo fisica. È mentale, emotiva, profonda. È quella sensazione che accompagna chi si sveglia la mattina con il fiato corto, già in tensione per tutte le incombenze della giornata: lavoro, terapie, gestione della famiglia. Il tutto in un ritmo frenetico che lascia poco spazio alla riflessione. Eppure, non è tanto l'evento in sé a generarci fatica, ma il modo in cui lo guardiamo.

 

La mente razionale ci aiuta o ci intrappola?

 

La cultura attuale ci ha abituati ad usare esclusivamente la mente logico-razionale, quella che giudica, etichetta e reagisce in automatico. Di fronte a un evento percepito come difficile, il corpo risponde con stress, spesso in due direzioni: attacco (voler cambiare a tutti i costi la situazione) o fuga (resistere e scappare). Entrambe queste risposte richiedono un enorme dispendio di energia e, nel tempo, conducono a una profonda stanchezza.

 

Nel libro "Pronto, sono la Disabilità", racconto: "C'erano momenti in cui ero in piena forzatura: cercavo disperatamente la terapia giusta per mio figlio Gabriele. E poi momenti in cui resistevo, non volevo accettare alcune proposte terapeutiche. In entrambi i casi mi sentivo stanca, sfinita."

 

Possiamo vedere lo stesso evento con occhi diversi?

 

Sì, possiamo. Ti propongo un' immagine guida chiara: "La vita non è resistere alla tempesta, ma danzare sotto la pioggia". L'evento, la "tempesta", rimane, non possiamo cambiarla. 

 

Ma è il nostro sguardo che può cambiare. Quando smettiamo di giudicare un'esperienza come negativa, quando ci apriamo a viverla per quella che è, senza preconcetti, iniziamo a danzare con essa. Questo è il passaggio dal pensiero razionale al pensiero del cuore.

 

Cos'è il pensiero del cuore?

 

Il pensiero del cuore, come lo definisce James Hillman, non è guidato dai codici sociali ma da leggi naturali, da una profonda connessione interiore. Non vuole controllare l'evento, ma trasformarlo in occasione di libertà, realizzazione, felicità. Quando ci fermiamo ad ascoltare il cuore, impariamo a non giudicare la fatica o la stanchezza come "nemici", ma come segnali preziosi che ci stanno indicando una strada.

 

Lo stress può diventare un campanello d'allarme positivo?

 

Assolutamente. Lo stress è una risposta del corpo a ciò che la mente giudica pericoloso. Ma se smettiamo di etichettare gli eventi, possiamo neutralizzare questa risposta automatica. La fatica cronica, per esempio, può diventare il segnale che ci stiamo allontanando dal nostro ikigai, la nostra missione personale. Se viviamo solo in funzione degli obblighi, perdiamo la connessione con ciò che ci fa sentire vivi.

 

Come si manifesta la fatica interiore?

 

C'è una fatica esterna, fatta di gesti e azioni quotidiane, e una interna, più sottile e profonda. Questa seconda forma ci parla di un allontanamento da noi stessi, dai nostri desideri, dalla nostra vocazione. Può portarci a vivere giornate intere in modalità automatica, in una routine che spegne ogni entusiasmo. Non è solo il corpo ad essere stanco: è l'anima.

 

Come uscire dal loop?

 

La chiave è smettere di giudicare. Quando iniziamo a guardare gli eventi con occhi diversi, possiamo iniziare un dialogo con le emozioni. Il cuore non vuole eliminarle, ma viverle fino in fondo per coglierne il messaggio. In questo modo, lo stress e la fatica si trasformano da ostacoli a strumenti preziosi. La domanda diventa: "Che cosa mi sta dicendo questa emozione?"

 

Quali strumenti possiamo usare nella quotidianità?

 

Esistono tecniche semplici ed efficaci per interrompere il loop mentale del pensiero razionale. 

 

Una di queste è la OMI (One Minute Immersion): meditazioni brevi e ripetute che aiutano a riportare l'attenzione nel momento presente. 

 

Un'altra è l'attenzione cosciente: ripetere dentro di sé "so che sto facendo questo" durante le azioni quotidiane, per radicarci nel presente e rompere l'automatismo.

 

Che differenza c'è tra una stanchezza che svuota e una che riempie?

 

Quando agiamo solo per dovere, secondo i codici sociali, la stanchezza ci svuota. Ma quando ci sentiamo ispirati, allineati con la nostra missione, possiamo arrivare alla fine della giornata stanchi ma pieni. È una stanchezza diversa, ricca, soddisfacente, che ci fa sentire realizzati. Per questo è importante avere una visione: sapere dove vogliamo andare, chi vogliamo essere tra 10 anni.

 

In che modo la visione ci aiuta a trovare energia?

 

Avere uno scopo chiaro ci permette di dare senso a ogni azione. Anche quelle più faticose, se inserite in un disegno più grande, smettono di essere pesi. Diventano passi verso una meta desiderata. Questo è ciò che trasforma la routine in ispirazione, e l'obbligo in scelta.

 

Cosa ci insegna davvero il cuore?

 

Il cuore ci invita a fidarci. A fidarci del nostro percorso, dei nostri figli, della vita. Ci invita a non combattere la tempesta, ma a danzare sotto la pioggia. A sentire ogni emozione senza giudicarla, per coglierne la lezione e lasciarci guidare verso il nostro destino. Una vita ispirata è una vita piena di significato, entusiasmo e leggerezza.

 

Qual è l'invito finale?

 

Allenarsi. Allenarsi ad ampliare lo sguardo, ad affiancare al pensiero logico il pensiero del cuore. A utilizzare lo stress, la fatica e la stanchezza come strumenti per ascoltare ciò che la nostra anima ci sta dicendo.

 

Anche tu puoi imparare a danzare sotto la pioggia.

 

Con amore

Sabrina

 

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